L’Italia è notoriamente la culla della produzione terzista di alto livello e il tessuto manifatturiero italiano è a tal punto strategico che quasi non passa quasi settimana senza l’annuncio di acquisizioni di piccole realtà famigliari da parte dei poli dei terzisti di fascia alta o dei giganti del lusso nell’ottica di verticalizzare la filiera. Ma questo 2023 ha portato in eredità anche una visione differente della catena di fornitura, un cambiamento di prospettiva dettato dall’andamento a singhiozzo degli ordini per le difficoltà di smaltimento delle giacenze di magazzino.
Per l’Italia si è sempre parlato, sostanzialmente, di produzioni conto terzi per il lusso. La vera scommessa, ora, è farsi trovare preparati anche per tutto l’universo che va oltre la nicchia dell’alto di gamma. È chiaro, lo Stivale non può e non vuole certo diventare la nuova Cina, ma ci sono nuove opportunità che vanno afferrate al volo. Nell’ultimo rapporto The State of Fashion 2024 di Business of Fashion e McKinsey & Company, si sottolinea come, a causa del cosiddetto ‘effetto frusta’, ovvero la volatilità nella catena di approvvigionamento che influenzerà le relazioni con i fornitori nei prossimi cinque anni, molte aziende stanno ripensando le proprie catene di fornitura per ridurre i rischi di produzione. Il 54% dei dirigenti, spiega il report, prevede di aumentare il reshoring o il nearshoring nel 2024 e molte aziende stanno pensando di riequilibrare la propria impronta di approvvigionamento rifornendosi da più Paesi.
Va da sé, quindi, che questo non può che rappresentare una chance importante per il mercato italiano dei produttori perché i poli manifatturieri lungo lo Stivale possono garantire due aspetti fondamentali nel sistema moda: vicinanza e flessibilità. Inoltre, a partire da quest’anno aumenterà gradualmente la platea di imprese che dovrà rendicontare l’impatto ambientale, sociale ed economico utilizzando criteri uniformi a livello europeo, partendo dalle grandi imprese, quindi con oltre 250 dipendenti e un fatturato di 40 milioni di euro, e tutte le quotate, a eccezione delle microimprese. In quest’ottica potersi appoggiare ad una rete di terzisti già strutturata in virtù delle norme Esg rappresenta un importante passo avanti, soprattutto per il mondo della moda, ‘colpevole’ di produrre da solo dall’8% al 10% di tutte le emissioni globali. Ecco che, quindi, di fronte all’esigenza di trasparenza e flessibilità del sistema del fashion, l’Italia ha un asso in più da giocare per vincere la sfida della manifattura e valorizzare ulteriormente un sistema produttivo di alto livello.