È ormai un’idea consolidata che l’Italia sia destinata a compiere il ‘salto di qualità’ nel turismo, passando da un’idea di incoming di massa che ha da sempre caratterizzato la sua storia ad una selezione dei propri visitatori, con una scelta decisa verso la fascia alta e alto spendente, quella che è più in linea con il nostro Dna di Paese del lusso.
Questo passaggio però ci riporta con ancora maggior decisione ad un problema storicamente irrisolto della nostra industria dell’ospitalità. Per gestire hotel a 4, 5, o 5 stelle L, servono manager e personale con una preparazione specifica e l’Italia fino ad ora è sprovvista di istituti specializzati nel luxury. Le poche proposte esistenti, seppur encomiabili, non toccano la formazione di alto profilo.
Così, chi è intenzionato a seguire un percorso formativo di standard internazionale è ancora oggi obbligato ad andare in Svizzera dove si trovano i migliori istituti in Europa. Facendo un parallelo con la pelletteria, sarebbe come dire che per formare gli artigiani che danno lustro al Belpaese con le produzioni di altissimo livello, praticamente per tutti i brand alto di gamma internazionali, sia d’obbligo andare all’estero per la formazione.
È chiaro che quella di dotarsi di scuole all’altezza non è più una necessità procrastinabile.
Si pensi che sempre più spesso gruppi internazionali operanti in Italia sopperiscono a questa carenza prevedendo corsi interni. Strumenti di questo tipo possono aiutare a superare il gap della formazione in questa fase di transizione ma vanno considerati come palliativi al problema. Serve un sistema di scuole ufficiali e riconosciute a livello globale. È qui che va coinvolto anche il mondo politico. Le istituzioni, anche attraverso il supporto delle associazioni di settore, devono prendere in carico una rivoluzione del settore formativo che accompagni e possa sostenere l’upgrade dell’hotellerie, magari iniziando dagli istituti già esistenti.