Un cambio culturale in atto e difficoltà per le nuove generazioni ad acquistare casa. Queste le due motivazioni che stanno spingendo il segmento del build to rent nel mercato immobiliare. Ma anche l’allargamento della forchetta tra chi non può comperare e chi invece, di immobili, è in grado di acquistarne a decine. Anche in questo caso la formula del build to rent, può offrire una risposta a due domande molto diverse. Ne abbiamo parlato con Emiliano Di Bartolo, managing director di Santandrea Luxury Houses & Top Properties, società di proprietà di Esperia Investor, di cui Gabetti detiene una partecipazione, e Amministratore delegato di G Rent.
G Rent opera con il marchio Gabetti Short Rent attraverso due linee di business. Una dedicata alla gestione in full outsourcing di immobili di altissimo pregio destinati allo short rent e una a investitori e sviluppatori per la gestione di unità immobiliari destinate allo short, medium e long rent per una clientela che si sposta per motivi di lavoro.
Quali ragioni stanno spingendo il build to rent e dove?
“Le motivazioni sono essenzialmente due. Innanzitutto gli immobili stanno diventando molto molto costosi. Tra l’inflazione e la forte domanda, trovare cielo-terra in zone centrali non è semplice e i prezzi continuano a crescere. Si svilupperanno nuove operazioni in zone semi centrali. A Milano l’elemento caratterizzante è la presenza della metropolitana. Per questo motivo, il progetto della Circle Line del Comune permetterebbe alla città di crescere in tutte quelle aree dove c’è poco sviluppo. Quindi l’elemento caratterizzante è l’area semicentrale servita dalla metropolitana. Pensiamo a Cascina Merlata, dove si stanno sviluppando tantissime operazioni build to rent perché c’è un’incidenza del prezzo al metro quadro che consente di dare redditività all’asset. Più si va verso il centro e più adotta una formula short term. La durata è in funzione anche del valore. Gli immobili più centrali nasceranno con una formula con tasso di rotazione più elevato e costi più elevati. Nei posti semicentrali, si andrà a mappare la presenza della metropolitana”.
Dunque è la presenza delle infrastrutture l’elemento dirimente. Qual è lo scarto tra Milano e le altre capitali europee da questo punto di vista?
“Se pensiamo a Londra, è evidente che si tratta di un mercato diverso. Con la Brexit, la città ha perso il suo tradizionale vantaggio, soprattutto nei confronti di Milano, la cui crescita recente è stata determinata dallo spostamento di grandi multinazionali verso l’Italia. La crescita di Londra è rallentata, i valori immobiliari si sono consolidati e in alcuni casi sono scesi. Parigi ha una presenza completamente diversa, perché è comunque una meta turistica incredibile.E’ una delle città più visitate al mondo. Milano è una via di mezzo tra l’una e l’altra. Se una città cresce a livello lavorativo, offre un’opportunità di sviluppo ai progetti di build to rent. Chi viene a Milano per uno o due anni, ha necessità di un appartamento senza doverlo comprare e, sicuramente, pretende di avere dei servizi”.
Qual è la differenza tra l’affitto tradizionale e il build to rent?
“L’affitto tradizionale avviene in immobili che non offrono alcun tipo di servizio. Nel secondo caso, invece, essendo edifici di nuova concezione, offrono palestre, servizi di pulizia, guardia h24.Il servizio a valle dell’acquisto o affitto diventa un aspetto essenziale”.
Quanto è pronta l’Italia, paese tradizionalmente votato all’acquisto, ad abbracciare un nuovo modello?
“Assistiamo a un cambio generazionale importantissimo. I giovani al primo lavoro, le famiglie giovani o comunque fino ai 40 anni, tendono a non comperare più l’abitazione, anche a causa dei prezzi troppo elevati. L’italiano è innamorato del mattone e continuerà ad esserlo. Dal nostro punto di vista si sta ampliando la forchetta tra chi può acquistare una o decine di casa e chi non ne potrà acquistare nemmeno una. Si andrà in due direzioni: si passerà da un taglio medio di vendita a uno più piccolo. Le case verranno divise in modo sempre più performante. Chiaramente, ci sono delle limitazioni anche a livello urbanistico. Ma pensiamo a Tokyo dove negli anni le case sono diventate sempre più piccole. Tutto in una stanza, perché il costo al mq è elevato. Quindi il build to rent sta crescendo per un cambio culturale importante in atto, ma anche per un impoverimento delle nuove generazioni. E, d’altra parte, siamo arrivati a valori al metro quadro nelle aree centrali che rendono l’accessibilità del bene sempre più limitata. Per questo sono necessarie forme alternative dove vivere”.
Avete in pipeline 400 unità destinate al build to rent. Dove?
“Stiamo diversificando. Un centinaio a Milano, 150 in Veneto e una parte a Bologna e Roma. Stiamo anche guardando al mercato di Genova. Qui arriverà l’alta velocità e si potrebbero aprire nuovi scenari. Potrebbe diventare una dependance di Milano. Uno scenario ancora non semplice da immaginare, ma quando il trasporto consentirà il commuting in 45 minuti sarà alla portata e creerà attrattività”.
Nel Sud Italia?
“E’ un trade off legato al lavoro. Pensiamo a Bologna, dove si sono posizionate molte multinazionali che stanno dando vita a un polo tecnologico importantissimo. Gli stranieri che arriveranno a lavorare avranno necessità di abitazioni e soprattutto di servizi. Se anche al Sud riusciranno nel futuro a trovare una chiave per sviluppare distretti tecnologici o eccellenze, allora potrebbe svilupparsi il build to rent. Ma come conformazione territoriale, come cultura e tradizione è un territorio meno propenso. Il Sud è più portato all’ospitalità. Richiama il turista leisure, non tanto quello professional, che resta sulle grandi città.
Il build to rent può essere fatto con formule diverse. Cambia la view. Ad esempio, si acquista casa ma per utilizzarla solo un mese l’anno e per gli altri 11 trova un gestore che la mette a reddito. Ci sono complessi che stanno nascendo con questa modalità. Dinamiche molto sviluppate a Dubai, negli Emirati. Qui già nella formula di acquisto è prevista la possibilità che nel momento in cui non l’immobile non viene utilizzato, lo si lascia in gestione per affittarlo. Un concetto di gestione del bene che è comunque leisure”.
Quali località state valutando con questa formula?
“La Puglia e la Sardegna del Sud. Abbiamo individuato due complessi che stiamo valutando. Anche la Puglia che negli ultimi anni ha fatto un grandissimo lavoro dal punto di vista dell’attrattività e ha creato un sistema legato al food molto interessante”.
L’ingresso in Atlas Sgr che obiettivi ha?
“Puntiamo a sviluppare un fondo di natura immobiliare all’interno di Atlas (che si occupa anche di AI e nuove tecnologie) da 200 milioni di euro, che supporterà questo percorso di crescita collegato a progetti di build to rent. Un mercato che è visto molto bene anche dai grandi investitori. Avendo un sottostante immobiliare, le grandi casse previdenziali e i grandi fondi vedono con grande interesse questa asset class. Che ha un potenziale molto solido su Milano e Roma. Che sono poi i luoghi dove i fondi si sentono anche più confident a investire”.