L’Unione europea accelera sulla sostenibilità della filiera tessile. Questa volta all’ordine del giorno c’è il divieto di distruzione di indumenti invenduti per ridurre i rifiuti del settore, sostenuti dai Paesi membri dell’Unione Europea.
Quello dei rifiuti tessili e del loro smaltimento è un tema caldo nel panorama della transizione green, nonché vero ‘tallone d’Achille’ della filiera tessile e dell’intero mondo della moda, rappresentando un quinto delle emissioni di gas serra dell’Eurozona. Basti pensare che sono quasi 6 milioni le tonnellate di tessuti scartate ogni anno dai cittadini della Ue, e solo un quarto di questa quantità viene riciclato, secondo le stime della Commissione europea.
Come si legge sul Financial Times, il divieto sulla distruzione delle giacenze rafforzerebbe ulteriormente la spinta green da tempo portata avanti dalle istituzioni di Bruxelles, mentre i leader del settore e i politici sembrano spaventati dal rischio che troppa regolamentazione ambientale possa soffocare le già sofferenti economie europee. Qualche giorno fa, infatti, il premier francese Macron ha chiesto a Bruxelles una “pausa normativa” sulle nuove misure ambientali, in modo che il Vecchio Continente possa concentrarsi sull’applicazione di quelle esistenti.
Alla base dell’esigenza di disfarsi degli invenduti c’è la difficoltà per i rivenditori di smaltire gli articoli restituiti dai consumatori e spesso, spiega ancora la testata, i brand distruggono gli stock indesiderati anche per evitare che questi finiscano nelle mani del mercato parallelo. Burberry per esempio, ricorda, nel 2018 aveva bruciato 28,6 milioni di sterline di merce invenduta.
Già a marzo dello scorso anno l’istituzione belga aveva presentato un piano per incoraggiare i player del settore a riciclare e riutilizzare responsabilmente le merci in tutta l’area europea, sottolineando l’impatto in termini ambientali della distruzione di prodotti di consumo quali abbigliamento o calzature. Si tratterebbe di una vera e propria emergenza green, i cui effetti vengono ulteriormente amplificati dalla rapida crescita conosciuta dalle vendite online durante e post-pandemia.
Al momento la Commissione non ha vietato specificamente la distruzione di indumenti invenduti, richiedendo però a tutte le grandi aziende di comunicare l’ammontare delle proprie giacenze. Ma venerdì gli Stati membri dell’Ue hanno sostenuto un approccio più severo, secondo al bozza passata tra le mani del Financial Times. A spingere affinché la proposta venga inclusa nei cosiddetti ‘Requisiti per la progettazione ecocompatibile’ ci sarebbero in prima fila Germania, Paesi Bassi e Francia, mentre avrebbe fatto opposizione, tra gli altri, la Svezia, patria del gigante del fast fashion H&M.
Secondo la bozza, le piccole imprese sarebbero esentate dal divieto e le medie imprese, con un massimo di 249 dipendenti e con un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro, avrebbero più tempo per adeguarsi. I dettagli sono comunque ancora in fase di discussione.